Come senti che sei vivo?
A volte non puoi tenere il respiro solo per te, il sangue ti scorre più veloce, dentro esplodi e fuori tutto il resto continua al solito passo. La città, la montagna, l’asfalto, la salita. Ogni singola cosa continua la sua corsa mentre tu senti che quell’istante rallenta per te, ti fa sentire che il tuo corpo è qui per qualcosa. Fegato. Polmoni. Vene. Cuore.
Se siamo universi che camminano, qual è quello che va al nostro stesso ritmo?
Il sole filtra tra la foresta dei pini lasciando delle pozze di luce sopra i cardi e le eriche, fa sembrare questo posto una specie di incanto isolato da tutto. D’improvviso le nuvole aprono un sipario sulla Roja, laggiù, fino alle alture irregolari e azzurrine, come quelle che i bambini ritagliano per fare i compiti di scuola. Sui pendii colmi di cardi selvatici pascolano tranquille le mucche godendosi l’aria fresca dell’altura.

La salita è un’agonia di rampe tra la luce e l’ombra e poi una scalata verso il sole pieno come quando vedi la salvezza in fondo al tunnel ma non sai esattamente se è il paradiso o un treno che ti viene addosso. Questo è un santuario per Primoz Roglic che probabilmente nella sua testa ha già pensato a fare il suo colpo di teatro in un posto che già conosce come sé stesso. Come una previsione di un veggente, lui è da solo negli ultimi sei chilometri che portano alla vetta. Caccia la rossa proteso in avanti, come è sempre stato visto a La Vuelta. Attaccare sulle salite peggiori. Più dolore, più sofferenza, più sangue che pompa al cuore. Ancora.
Ancora.
Fino a trovare il confine tra il piacere e lo svenimento.
Possiamo dire tutto ma è così che abbiamo perso la testa per il ciclismo. Così, guardando l’uomo proiettarsi verso l’alto, proprio quando la strada lo vuole tenere ben stretto con le briglie.
Questi cavalli non possono restare dove sono.

Mentre torno verso l’arrivo e cerco di evitare di distruggermi un’altra gamba, cento rovi mi si aggrappano ai pantaloni di fortuna che ho dovuto resuscitare dalla valigia per altri motivi che non sto ad elencare. Mi bruciano le caviglie, le guardo e sono immacolate.
Laggiù, guidando verso il sole, le montagne sembrano quelle sacre ai Sioux nella infinita prateria americana, predate dai bisonti, stuprate dall’uomo bianco.
Le rocce hanno strane forme che fanno credere che esistano spiriti al loro interno. Vegliano su queste distese di nulla e sui girasoli chinati tristemente verso la terra, sui paesini dove ci sono gigantesche fette di torta di queso per cena e liquore alle erbe.
La luce della sala da pranzo lampeggia come un’allucinazione. O come un quieto sogno dal quale non vuoi svegliarti mai.